Diario di viaggio: (un noioso) Capodanno a Stoccolma
14 Gennaio 2019
0
Aspettavo questo Capodanno a Stoccolma come si aspetta il pacco di Amazon dopo gli acquisti del Black Friday: con l’ansia de sape’ se hai fatto l’affare della vita o se hai preso ‘na sòla.
Il nostro Capodanno in Svezia prevedeva due giorni e mezzo a Stoccolma, con un festivo di mezzo; possibili temperature polari; un volo e un hotel a Stoccolma prenotati riempiendo di parolacce l’Internette e… grosse, grossissime aspettative.
Come sai, io pur di visitare un posto nuovo sfrutto anche pochi, pochissimi giorni. Sono la stessa che ha organizzato il viaggio in Giappone e Qatar usando una sola settimana, no? Sì, so’ sempre io. Per me l’importante è andarci, e fino ad ora difficilmente mi sono pentita della scelta.
Questo finché non ho deciso di organizzare ‘sto Capodanno a Stoccolma, perché in Svezia, purtroppo, ho preso una fregatura.
Ora ti racconto!
→ Leggi anche l’approfondimento su quanto costa un viaggio a Stoccolma
Capodanno a Stoccolma: primo giorno
30 dicembre 2018, domenica.
Tutto è iniziato col nostro primo volo Finnair: abbiamo fatto scalo a Helsinki, c’hanno riempito di cioccolatini Fazer e l’esperienza è stata più che positiva. Inoltre ho avuto il piacere di parlare tre lingue in una frase sola, con un assistente di volo finlandese particolarmente simpatico che spiccicava qualcosa di italiano. Me la sentivo particolarmente calla, già.

Se giudicassi un viaggio in base a ciò che combino nelle prime due ore di permanenza, sarei fottuta. Non so se succede pure a te, ma io nelle prime due ore non capisco mai una mazza, nonostante tutta la preparazione iniziale: non mi oriento, non so che devo fare, e se succede qualcosa di negativo mi deprimo subito.
A Stoccolma l’imprevisto è arrivato già alla stazione centrale: il colpevole è un commesso del Pressbyrån – una sorta di minimarket – che, alla mia richiesta di sei biglietti singoli dei mezzi pubblici, m’ha mollato una card blu di plastica e m’ha fatto ciao ciao con la manina senza dirmi nient’altro. Io sono uscita dal negozio, ho guardato Massimo, ho guardato la card blu, ho riguardato Massimo e sono tornata dal commesso per dirgli che ancora so contare fino a sei.
La risposta è stata qualcosa del tipo fidati sorella, t’ho dato la carta più poraccia che abbiamo per prendere i mezzi. Fidati ché funziona.
La card in questione era la Access Card.
Premessa: i sei biglietti servivano a prendere la metropolitana e l’autobus per arrivare in hotel, a tornare indietro per vedere un po’ la città ed eventualmente a ripartire il giorno dopo.
Appena siamo saliti sull’autobus, la Access Card ha funzionato una volta sola; alla seconda dava un segnale rosso. Il conducente ci ha fatti passare lo stesso, ma qualcosa non tornava.
Abbiamo provato a toglierci il dubbio alla fermata del tram davanti all’hotel, dove abbiamo trovato un lettore elettronico che mostrava il credito residuo della card. Doveva esserci almeno l’importo di quattro biglietti, invece sullo schermo sono apparse una manciata di corone seguite dalla scritta no ticket.
Come no ticket?!
Cercando di capire cosa cacchio avevamo sbagliato, abbiamo raggiunto il nostro hotel, Motel L. Lo avevo scelto soprattutto per il prezzo economico (centoquaranta euro per due notti in doppia, niente considerando che eravamo a Stoccolma a Capodanno), ma anche per la colazione varia e per la sua posizione in centro, dalla quale immaginavo che ci saremmo potuti godere almeno i fuochi d’artificio. Un po’ come abbiamo fatto per il Capodanno a Varsavia.
Questa era la nostra camera:

Purtroppo la posizione in centro non era per niente… in centro. Intorno all’hotel c’erano solo negozi chiusi e lavori in corso, e per raggiungere la civiltà dovevamo sempre prendere almeno un autobus.
La colazione costava 9 euro a testa, e in un altro posto avrei detto macchittesefila, però le recensioni dicevano che valeva la pena di provarla e mi ero ripromessa di farlo. Volevamo pagarla in anticipo, al nostro arrivo, per non pensarci più e invece no, non se poteva fa’. Col senno di poi ti dico che è stato meglio così, leggerai tu stesso/a.
La camera era caruccia e pulita ma molto, moooolto più piccola di quelle che apparivano su Booking. Calcola che l’ho paragonata allo sgabuzzin… ehm… la camera minuscola che ci avevano dato nel viaggio a Tokyo. T’ho detto tutto.
Aggiungo un altro dettaglio piacevolissimo: nel momento in cui mi sono messa davanti allo specchio per impormi la calma, e l’accettazione di un hotel che comunque ci era costato poco, mi sono ritrovata due bolle in faccia grosse come un cazzotto. Apparentemente morsi di zanzara. In Svezia, a Capodanno. Con la neve, e due gradi sotto zero.
Diciamo che non ho preso molto bene ‘sto mucchio di dettagli che non avevo previsto, ecco.

Comunque, appurato che con la Access Card non c’avevamo davvero capito una mazza, abbiamo poi scoperto che la SL (la compagnia dei trasporti pubblici stoccolmesi) ha un’applicazione da cui è possibile acquistare i biglietti.
La cosa buona è che puoi acquistare i biglietti nel momento in cui stai prendendo l’autobus, e pagarli con una carta prepagata. La cosa brutta è che, con questa modalità, ogni biglietto ci costava la modica cifra di quarantaquattro corone svedesi invece di trentuno. Quindi, ci siamo mossi avanti e indietro dall’hotel a botte da ottantotto corone alla volta, invece di sessantadue.

La cosa ancora più brutta è che su Internet questa maledetta Access Card non è menzionata come fondamentale per muoversi a Stoccolma, e nessuno ti spiega come funziona. Tonnellate di post sulla Oyster Card di Londra o sulla Pasmo di Tokyo, che sono simili, e nessuno si caga la card di Stoccolma. Pure l’ente del turismo di Stoccolma te la fa breve dicendo che puoi comprare la card, oppure i biglietti singoli da 75 minuti!
Mi ci sono incaponita talmente tanto che, appena tornata a Roma, la prima cosa che ho fatto è stata scassare la minchia proprio all’ente turistico di Stoccolma e alla SL per capire cosa avevamo sbagliato. Ho avuto delle risposte e ci ho fatto il post che ho linkato all’inizio di questo post.
Ora torniamo a noi.
Essendo arrivati a Stoccolma a metà pomeriggio, e avendo perso buone due ore tra pullman per il centro, biglietti sbagliati e cose varie, l’unica cosa che potevamo vedere della città a quell’ora era Gamla Stan, il quartiere medievale. Idea supportata anche dal fatto che, a parte i cioccolatini Fazer del volo, non avevamo ancora messo nulla nello stomaco dalla mattina.
al nostro arrivo, Gamla Stan era niente più di un quartiere desolato: niente lucine natalizie, tutti i negozi erano chiusi e quasi nessuno in giro. Ci siamo messi a cercare qualcuno dei ristoranti che avevo segnato da visitare e che erano aperti di domenica, ma erano chiusi pure quelli.
Allora ci siamo messi a cercare i mercatini natalizi, visto che proprio a Gamla Stan ce ne doveva essere uno!
… Non c’era manco quello. A Stoccolma i mercatini di Natale finiscono a Natale. Tutti.


Sull’orlo della disperazione abbiamo seguito un paio di indicazioni per il Palazzo Reale, dove tra l’altro vivono davvero i reali svedesi. Lo hai visto tu? Sì? Noi no. Perché se ci siamo passati davanti manco ce ne siamo accorti, tanto eravamo depressi e… soli.
A quel punto non sapevo più se ridere o piangere. Ho tirato fuori Google Maps per individuare gli altri ristoranti tipici in zona, e siamo passati da “andiamo a mangiare in quella taverna che è fighissima” a “no vabbe’, fermiamoci in un locale qualsiasi che faccia cucina svedese” a “… fanculo, va bene anche un hamburger“.
Ci siamo infilati in una sorta di pub gestito da due che sembravano bengalesi, l’unico aperto. Ci siamo seduti ad un tavolo nel corridoio nel retro, sotto ad una lampada rotta (…), e abbiamo pagato due hamburger, dei nachos con la salsa e delle ali di pollo surgelate qualcosa come sessanta euro. No comment.

Tornando in hotel, io ho ricominciato a soffrire per la tendinite al piede, che sembrava essermi guarita un mese fa, e cos’altro poteva succederci?
Prima abbiamo sbagliato stazione della metropolitana, e poi abbiamo perso l’autobus che ci avrebbe portati davanti all’hotel. Ce ne siamo accorti dieci minuti dopo l’ultima corsa. Quindi ci siamo fatti quasi due chilometri a piedi, con la mia caviglia che implorava pietà.
L’unica cosa positiva è che ci siamo goduti una passeggiata nei dieci centimetri di neve che ricoprivano la strada, e che non faceva troppo freddo.
Capodanno a Stoccolma: secondo giorno
31 dicembre 2018, lunedì.
“Oggi andrà tutto bene. Oggi andrà tutto benissimo e Stoccolma mi piacerà un casino” mi sono detta appena sveglia, sforzandomi di fare un sorriso.
Dopo il pagamento della colazione, la receptionist ci ha consegnato due bigliettini per fare il “breakfast check-in“. Nessuno ce li ha chiesti, ‘sti bigliettini, così dopo qualche minuto di smarrimento ci siamo avventati sul buffet.
Per la parte dolce c’erano solo del pane fresco, un paio di marmellate e i burri; per la parte salata invece c’erano affettati, tra cui la spalla di maiale (boh), formaggi e una specie di paté di fegato, che io non ho avuto il coraggio di prendere (mi ricordava quello di Praga), ma a Massimo è piaciuto un casino.
Mentre finivo il mio pane con la marmellata ho visto sbucare, dal nulla, una tipa che chiedeva i bigliettini della colazione alla gente che si avvicinava al buffet. Ho guardato Massimo e gli ho comunicato che sarei partita alla volta della tizia per darle anche i nostri. Certo. Il problema è che il mio bigliettino, mentre formulavo quel pensiero, era sparito. Volatilizzato. Nessuna traccia.
A quel punto m’è tornata la mole di incazzatura del giorno prima, tutta insieme tipo le valanghe dei film di Fantozzi, e mi sono alzata cominciando a svuotare nervosamente portafogli, tasche, maniche, calzini, mutande, custodia dello smartphone, tutto.
Oh, niente, non l’ho trovato. Quel maledetto bigliettino deve aver aperto un varco nello spazio-tempo per tornare indietro a quando era ancora un albero, non c’è altra spiegazione. Idem il mio proposito di saltellare in direzione della cameriera per darle i foglietti, considerando che non ce ne avrebbero stampati altri. Anzi, magari ci avrebbero chiesto di pagare un’altra volta, giusto per stare sicuri.
Ci tengo a sottolineare che la reception distava due metri e mezzo dal buffet, e bastava allungare lo sguardo verso il bancone per capire chi aveva pagato. Oppure fare una cosa antica tipo parlarsi, tra camerieri e receptionist, per capire chi aveva diritto e chi no. O, ancora, farsi un registro con un elenco da depennare; darsi un urlo tipo jodel; farsi i gesti come quelli che giocano a pallavolo, che ne so. Invece no: complichiamo la vita alla gente.
Comunque, posso essere sincera? Per 9 euro a testa mi aspettavo di meglio. Alla fine di svedese c’era giusto il pane e ‘sto benedetto patè, e come prezzo di una colazione continentale mi pare eccessivo.
Spoiler: il giorno dopo l’abbiamo fatta altrove.
L’obiettivo primario del giorno era l’isola Djurgården.
Stoccolma è costruita su quattordici isole e Djurgården è un’isola del centro immersa nel verde e piena di musei. Tra questi musei ci sono il museo del Vasa, quello degli ABBA e Skansen, il museo all’aperto più fico della Svezia. Skansen somiglia un po’ a Seurasaari in Finlandia, ma è molto più vasto.
A Skansen sono state trasportate e ricostruite molte vecchie abitazioni provenienti da tutte le regioni del Paese, Lapponia compresa. Dentro molte di esse ci sono dei personaggi in costume tradizionale che lavorano come artigiani, oppure mostrano l’abitazione in cui si trovano rispondendo alle domande dei visitatori. Io ero fomentatissima.
Mentre andavamo a Djurgården siamo passati accanto a Gamla Stan, e devo dire che di giorno e con degli esseri umani sembrava molto, molto più bella.



Appena arrivati a Djurgården ci siamo fiondati subito al Vasamuseet, il museo del Vasa.
La fila era lunga, ma scorreva velocemente.

Una cosa che ho dimenticato di dirti è che in Svezia qualsiasi cosa si può pagare con le carte di credito, anche un caffè. E’ comodo per non dover cambiare gli euro in corone svedesi, un po’ meno per tenere d’occhio le spese perché non ti rendi conto di quanto spendi. Alcuni negozi non accettano proprio i contanti come pagamento!
Torniamo alla parte più interessante del nostro Capodanno a Stoccolma: il museo del Vasa.
Il Vasa fu costruito nel 1628 per essere la nave di punta della Marina svedese dell’epoca. Gustav II Adolf, l’allora re della Svezia, chiese ai suoi costruttori un galeone gigantesco, pieno di statue e decorazioni ma soprattutto pieno zeppo di cannoni. Una roba mai vista. L’obiettivo di Gustavino infatti era quello di farsi grosso col cugino Sigismondo, suo nemico, ex re della Svezia e re della Polonia.
Pare che il progetto iniziale del Vasa fosse adatto alla navigabilità, ma fu modificato in seguito ad ulteriori richieste del re. Il Vasa uscì lungo sessantanove metri e fu dotato di tre alberi, dieci vele, settecento sculture e ben sessantaquattro cannoni disposti su entrambe le murate, ciascuno in grado di sparare palle da undici chili ciascuna.
Con queste premesse, è quasi inutile chiedersi come mai sia finito sott’acqua.



Il giorno dell’inaugurazione della flotta navale, due raffiche di vento fecero ballare un po’ troppa macarena all’intera nave, che si inclinò pericolosamente di lato a causa del baricentro troppo alto. I cannoni erano fuori, pronti a sparare due colpi per festeggiare l’evento, e invece eccallà: furono proprio quelli a permettere al Vasa di imbarcare acqua dagli sportelli aperti, e di affondare dopo pochi metri.
Che scemino, Gustavo. Chissà quanto ha riso, invece, Sigismondo.
Dopo la visita al museo, io e Massimo ci siamo fatti una foto con uno strano gnomo su una panchina che teneva in braccio una chitarra (?) e si muoveva tutto.

La tappa successiva era il museo di Skansen.
Avevo comprato i biglietti online, sul sito ufficiale del museo, ma non c’era la fila destinata a chi li aveva già. Dunque ci siamo sparati prima una fila normale, poi la fila per i gruppi e infine abbiamo fatto gli occhi dolci ad un tizio, accanto ai tornelli col lettore ottico, che ci ha fatti entrare.

Siamo arrivati al villaggio e abbiamo visitato la bottega del vetraio, quella del fabbro e un paio di case “abitate”, dove ci hanno accolte due bellissime signore svedesi in costume.


C’era anche la bottega del panettiere, che vendeva pane fresco e dolcetti svedesi, e noi ne abbiamo approfittato spudoratamente: abbiamo comprato un dolcetto ai mirtilli buonissimo, uno identico alla vaniglia ugualmente buono e un dolcetto natalizio svedese, chiamato lussekatter, fatto con uvetta e zafferano. Quest’ultimo ci è piaciuto un po’ meno.


L’unico problema è che Skansen è veramente, ma veramente grande, e io dopo un po’ ho ricominciato a zoppicare e a maledirmi per aver avuto l’idea di andarci. Sulla strada per la zona dedicata agli animali nordici – una sorta di zoo – mi sono accasciata su una panchina ghiacciata e mi sono arresa all’idea di dover tornare indietro per riposare.

Siccome erano quasi le quattro e non avevamo pranzato, mi sono detta che potevamo almeno andare al mercato coperto di Hötorgshallen, dedicato al cibo internazionale: ci sono chioschi di cibo svedese ma anche giapponese, italiano, finlandese, sudamericano, insomma ‘na cifra di roba. Mi interessava in particolare provare Kajsas Fisk, che vendeva dell’ottimo pesce e una zuppa calda da leccarsi i baffi.
Siamo arrivati davanti al Kajsas Fisk e un ragazzo del chiosco ci ha detto che stavano chiudendo.
Secondo le mie informazioni il mercato chiudeva alle sei del pomeriggio ma, niente, non c’è stato niente da fare: alle quattro hanno chiuso tutto e noi ci siamo attaccati al cacchio. Allora abbiamo ripreso la metro e siamo andati all’Hard Rock Cafè, perché sai che devo sempre farci una tappa. Solo che stavolta eravamo intenzionati a mangiare lì.
Lungo la strada abbiamo beccato un Burger King e abbiamo realizzato che all’Hard Rock Cafè probabilmente avremmo mangiato le stesse cose spendendo il doppio, così ci siamo fermati a mangiare lì.
Buona, ‘sta cucina svedese.
Uscendo dall’Hard Rock Cafè ci siamo trovati davanti ad un supermercato svedese: io e Massimo ci siamo guardati, abbiamo pensato la stessa cosa e siamo entrati nel supermercato.
Abbiamo festeggiato il capodanno in camera nostra, guardando il concerto a Skansen in diretta tv, e mangiando panini del supermercato fatti con le polpette svedesi e una strana salsa fucsia.

Capodanno a Stoccolma: ultimo giorno
1 gennaio 2019, martedì.
Come precedentemente spoilerato, il nostro ultimo giorno non abbiamo fatto colazione in hotel, bensì in un bar della stazione centrale che se non ricordo male si chiamava Espresso. Ho bevuto un cappuccino ottimo ma in quantità bibitone, e una pallina di cioccolato al cocco che ho visto in tutte le vetrine, molto buona.

Ci siamo fatti un giro veloce a caccia di souvenir, che non ho mai trovato, ma sono riuscita almeno a comprare le cartoline per il mio gruppo di viaggiatori su Facebook. Infine abbiamo preso il pullman per l’aeroporto di Stoccolma Bromma, che è il più piccolo della capitale svedese.

Il nostro aereo era un fantastico ATR-72 della Norra, uno di quelli ad elica.
Ti dico solo che eravamo una sessantina, di cui la maggior parte bambini (!!!) e, proprio per questa ragione, abbiamo tardato di mezz’ora perché le assistenti di volo hanno dovuto rifare il bilanciamento, spostandoci continuamente di posto uno con l’altro e facendo i conti su un post-it giallo. Fortuna che l’abbiamo tutti presa a ridere, e fortuna che quel volo è servito solo per arrivare a Helsinki… in Finlandia poi abbiamo preso un aereo di quelli veri.
Conclusione: mi sa che a Stoccolma dovremo tornarci in estate.
→ Leggi anche: guida alla capitale della Finlandia
→ Leggi anche: capodanno a Varsavia
Condividi questo post se ti è piaciuto, e non dimenticare di seguirmi anche su Facebook e Instagram per non perdere i quiz finlandesi e gli aggiornamenti sui prossimi articoli!
I COMMENTI

Ciao, io sono Anna!
Sono una travel blogger di Roma, sul web con Profumo di Follia dal 2012. Organizzo viaggi in piena autonomia da sempre, soprattutto nel weekend e nelle capitali europee.
Ho una passione per la Finlandia che mi ha portata a studiare la lingua finlandese per un anno e mezzo e a progettare di esplorarla in lungo e largo.
Sono una travel blogger di Roma, sul web con Profumo di Follia dal 2012. Organizzo viaggi in piena autonomia da sempre, soprattutto nel weekend e nelle capitali europee.
Ho una passione per la Finlandia che mi ha portata a studiare la lingua finlandese per un anno e mezzo e a progettare di esplorarla in lungo e largo.