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Una settimana in Giappone: la splendida Arashiyama, il Kinkaku-ji e Tokyo

10 Febbraio 2020

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Il nostro appartamento a Kyoto aveva un pregio: la vicinanza alla zona di Arashiyama, dove abbiamo passato ben due giorni. Troppo, troppo bella.

[Post precedente: l’arrivo a Kyoto, Gion e il Nishiki Market]

6 novembre 2019, giorno 4: visita ad Arashiyama

Arashiyama è una zona ai margini di Kyoto immersa tra le montagne e attraversata dal fiume Katsura. E c’è una cosa, ad Arashiyama, che mi ha quasi fatta piangere dall’emozione.

La foresta di bambù?

No.

La riserva dei macachi giapponesi?

Nemmeno.

Mi sono commossa per il cappuccino che ho bevuto nel bar ai piedi della montagna. Perché un cappuccino così perfetto all’estero non l’avevo mai assaggiato. Anche se per quello e un caffè abbiamo pagato la bellezza di 840 yen #mecojoni

Visita ad Arashiyama: il cappuccino con vista sul fiume

Comunque no, non siamo andati ad Arashiyama per il cappuccino, ma per vedere la foresta di bambù e la riserva dei macachi giapponesi, appunto.

Iniziamo dalla seconda, che si raggiunge attraversando il ponte Togetsu-kyo sul fiume. La vista su quell’acqua cristallina che sbuca tra le montagne, passa sotto al ponte e scende a valle verso Kyoto è pazzesca. E’ uno di quei posti che ti mette in pace col mondo, anche se ci sono molti turisti. Ne ricordo pochi così. Bellissimo!

Visita ad Arashiyama: il fiume che scorre a valle
Visita ad Arashiyama: il fiume tra le montagne
Visita ad Arashiyama: barche sul fiume

Il Monkey Park Iwatayama è una riserva che si sviluppa lungo la montagna ed ospita dei macachi giapponesi completamente liberi, nativi della zona. In altre parole: niente gabbie e norme di comportamento da osservare scrupolosamente per non infastidire gli animali, che sono liberi di scorrazzare ovunque.

Bisogna evitare di guardare i macachi negli occhi, di toccarli e di fermarsi a fotografarli a meno di tre metri. Se si vuole dare loro del cibo, bisogna usare solo quello in vendita nella riserva.

Ammetto che l’idea di non poterli guardare negli occhi mi ha fatto vivere la visita con un po’ d’ansia, specialmente quando siamo arrivati in cima ed era pieno di macachi che si avvicinavano di loro spontanea volontà. Durante la salita ci è capitato di vedere dei movimenti tra gli alberi, e di fermarci per capire se un macaco ci sarebbe atterrato in testa. In realtà è stata una bellissima esperienza, te la consiglio assolutamente e anzi, per me vale la pena di andare ad Arashiyama più per i macachi che per la foresta di bambù, ma ne parliamo dopo.

Il percorso per salire è un po’ lungo ma è fattibile anche per chi, come me, non è allenato. Spesso ci sono delle panchine dove poter fare delle soste e riprendere fiato, e comunque lo spettacolo a cui si assiste una volta arrivati in cima alla montagna vale qualsiasi fatica. C’è un punto panoramico che si affaccia su Kyoto e uno spazio con un laghetto dove i macachi corrono e giocano. Entrando in una casetta si può comprare del cibo e ci si può avvicinare un po’ di più agli animali attraverso una rete. I macachi ci si arrampicano da fuori, e tu puoi osservarli e fotografarli da molto vicino senza dar loro fastidio.

Visita ad Arashiyama: la riserva dei macachi giapponesi
Visita ad Arashiyama: un macaco appeso alla rete
Visita ad Arashiyama: un macaco prende del cibo attraverso la rete della riserva
Visita ad Arashiyama: due piccoli macachi che si guardano

Per pranzo avevamo in programma un ristorante in zona che si chiama Houzan: serve soba fredda e tempura in un locale con le vetrate che affacciano sul fiume e sulla vegetazione. Sembrava davvero carino. Peccato che sia stato impossibile trovarlo.

Tornando indietro, a pochi metri dal ponte, ci siamo imbattuti in una fila di negozietti di souvenir, e visto che si stava facendo tardi abbiamo deciso di rischiare con un ristorante che aveva l’aria di essere una trappola per turisti. Invece abbiamo mangiato un ramen al curry con pollo in tempura davvero pazzesco. ad un prezzo più che accettabile. Il posto si chiama Togakushi, lo consiglio assolutamente.

Visita ad Arashiyama: pranzo con ramen al curry, pollo in tempura, riso bianco

Abbiamo attraversato il ponte e proseguito verso una stradina piena di negozietti che porta alla foresta di bambù e al resto di Arashiyama.

Su entrambi i lati della strada c’erano decine di ragazze in kimono e, mentre le ammiravo, mi è venuto in mente che lì c’era la stazione ferroviaria che ospita la Kimono Forest: un corridoio di cilindri contenenti stoffe di antichi e coloratissimi kimono, che si illuminano appena il sole tramonta. Alcune di quelle ragazze ne hanno approfittato per farsi fotografare lì in mezzo!

Visita ad Arashiyama: ragazze in kimono di spalle nella Kimono Forest
Visita ad Arashiyama: cilindri della Kimono Forest
Visita ad Arashiyama: cilindri della Kimono Forest

La foresta di bambù invece è stata una vera delusione. L’area coperta dai bambù è di 160.000 metri quadrati e sarebbe anche bello visitarla, se solo non ci fossero un botto di persone che ci camminano insieme a te, si fanno selfie, strillano e spintonano.

Sapevo già che era un luogo strafamoso in Giappone, ma chi parla di atmosfera magica fa ridere. Perché l’atmosfera magica la becchi giusto alle sei di mattina quando ci sei solo te e i bambù, mica quando ci va la gente normale. Mah.

Visita ad Arashiyama: foresta di bambù con sentiero invaso dai turisti
Visita ad Arashiyama: cima dei bambù

Nel programma di quel giorno avevo anche inserito una capatina al tempio Otagi Nenbutsu-ji, ma c’erano da fare più di tre chilometri a piedi, avevamo perso l’autobus e ormai iniziava a fare buio, quindi abbiamo rimandato al giorno dopo.

In compenso, abbiamo concluso la giornata cenando con del sukiyaki in un ristorante a Gion. Il sukiyaki è un piatto unico piuttosto ricco, a base di carne, che somiglia un po’ allo shabu-shabu perché anche questo si cuoce a tavola, in una pentola che bolle sul fuoco. La differenza è che nel sukiyaki la carne di manzo si fa cuocere in un brodo di salsa di soia, mirin e zucchero e oltre alla carne e alle verdure ci sono anche dei pezzi di tofu. Una volta cotte, le fettine di carne vanno immerse nell’uovo sbattuto.

E’ un piatto abbastanza costoso, che in Giappone si consuma quando si vuole festeggiare qualcosa. A me non è piaciuto particolarmente, perché me lo immaginavo saporito e invece la carne sapeva di poco.

Visita ad Arashiyama: cena a base di sukiyaki con pentola che cuoce sul fuoco
Visita ad Arashiyama: sukiyaki in primo piano

7 novembre 2019, giorno 5: secondo giorno ad Arashiyama, Kinkaku-ji e Fushimi Inari

Il giorno dopo siamo tornati ad Arashiyama per visitare il tempio buddista Otagi Nenbutsu-ji.

Lungo la strada abbiamo incrociato un altro tempio buddista che a me è piaciuto un casino e si chiama Seiryo-ji Sagashaka-do. Quando siamo entrati non c’era nessuno e da uno degli edifici arrivavano i canti dei monaci, quindi non siamo rimasti a lungo per paura di disturbare.

Visita ad Arashiyama: ingresso al tempio Seiryo-ji visto dalla strada

E’ un tempio devoto alla pratica buddista del Yuzu Nenbutsu e al suo interno ci sono una statua di legno del Gautama Buddha, che fa parte dei tesori nazionali del Giappone, e le statue della trinità di Amida, ovvero delle statue del Buddha rappresentate secondo il buddismo Mahayana.

Visita ad Arashiyama: interno del tempio Seiryo-ji
Visita ad Arashiyama: vista sul piazzale del tempio Seiryo-ji

E ora passiamo all’Otagi Nenbutsu-ji, che ha una particolarità: al suo interno ci sono più di 1200 statue di rakan (discepoli del Buddha) donati dagli apprendisti che seguivano gli insegnamenti dello scultore Kocho Nishimura, divenuto monaco buddista e proprietario del tempio nel 1955.

Nessun rakan è uguale ad un altro: alcuni sono rappresentati in preghiera, altri ridono, altri ancora tengono oggetti ispirati alle passioni degli scultori.

Visita ad Arashiyama: ingresso al tempio Otagi Nenbutsu-ji
L’entrata del tempio Otagi Nenbutsu-ji
Visita ad Arashiyama: un gruppo di rakan del tempio Otagi Nenbutsu-ji
Alcuni rakan del tempio
Visita ad Arashiyama: un rakan sorridente in primo piano con una moneta in fronte
Alcuni rakan hanno una monetina sulla testa!

Il tempio è stato costruito la prima volta nel 766 per ordine dell’imperatrice Shotoku, e dico la prima volta perché è andato distrutto varie volte, come è successo a molti dei monumenti giapponesi. La forma attuale del tempio è stata creata durante il periodo Kamakura (1192-1333).

Per arrivarci da Arashiyama c’è il bus 94 che passa una volta all’ora circa (fermata Otagidera mae), oppure si va a piedi per buoni tre chilometri. Noi abbiamo scelto la seconda, ma al ritorno abbiamo preso il bus perché avevamo bisogno di arrivare alla stazione centrale di Kyoto. Lì abbiamo pranzato in un ristorante cinese, non volutamente. Nel senso che cercavamo i ristoranti di sushi della stazione, non li trovavamo, e siccome si stava a fa’ tardi ci siamo buttati in uno a caso.

Ho ordinato un ramen con carne cinese (mi pare fosse scritto proprio così, “Chinese meat ramen”) che era molto buono, perché sapeva vagamente del ragù di mia nonna, ma era di un piccante assurdo. Infatti non sono riuscita a finirlo e ho rosicato tantissimo.

Visita ad Arashiyama: piatto di ramen con carne cinese

La stazione di Kyoto ci serviva per raggiungere un’altra tappa della giornata: il tempio del padiglione d’oro, il Kinkaku-ji.

Il Kinkaku-ji, il cui vero nome è Rokuon-ji, è uno shariden, ovvero un palazzo che custodisce le reliquie del Buddha. E’ patrimonio dell’umanità UNESCO dal 1994 ed è un altro dei posti che ho amato in Giappone.

Visita ad Arashiyama: vista sul tempio Kinkaku-ji

Il padiglione d’oro e i suoi giardini rappresentano la purezza della vita terrena del Buddha, e probabilmente le lamine d’oro che ricoprono i due piani del palazzo volevano dare visivamente proprio questo effetto. Il palazzo fece anche da residenza ufficiale dell’imperatore Go-Komatsu e di alcuni altri nobili, e fu trasformato in tempio da un certo Muso-kokushi.

Esiste anche un tempio del padiglione d’argento, a Kyoto, chiamato Ginkaku-ji: in realtà è un wannabe padiglione d’argento, visto che il progetto iniziale di riempirlo di lamine argentate non è mai stato realizzato e il tizio che lo ha fatto costruire è morto prima di riuscire a finirlo. Poveretto.

Visita ad Arashiyama: il Kinkaku-ji al tramonto

Durante la visita abbiamo incrociato una scolaresca in visita al tempio, tutti bambini di circa dieci anni o forse meno. Due bambini si sono avvicinati a me e Massimo e, con un fogliettino in mano e un imbarazzo piuttosto evidente, ci hanno fatto delle domande in inglese per sapere la nostra nazionalità e cosa pensiamo del Giappone. Uno di loro, infine, mi ha lasciato una schedina plastificata in cui ringraziava della disponibilità e chiedeva di inviare una cartolina o una lettera alla loro scuola per raccontargli qualcosa del nostro Paese. Mi sono ripromessa di farlo, perché quei bambini sono stati troppo carini e trovo che sia un’iniziativa bellissima. Oltre al fatto che io, a quell’età, era già tanto se riuscivo a comporre una frase di senso compiuto in italiano. Stima infinita per quei bimbetti.

L’ultima tappa della giornata e in generale delle nostre giornate a Kyoto è stata il santuario di Fushimi Inari-Taisha, l’immancabile fila di torii rossi che si arrampica lungo il monte Inari e compare ovunque si parli di Kyoto. Noi ci siamo andati quando ormai era buio da un pezzo. I negozi e i templi del complesso erano chiusi, ma di notte è possibile comunque fare un giretto e, volendo, anche risalire il sentiero dei torii fino in cima. Peccato solo per i cartelli che invitano alla prudenza a causa della presenza di scimmie particolarmente aggressive che si troverebbero nei paraggi. O_O

Visita ad Arashiyama: entrata al santuario di Fushimi Inari-Taisha
Visita ad Arashiyama: ingresso ai torii del Fushimi Inari-Taisha

Il santuario è dedicato alla divinità Inari che, oltre a dare il nome alla montagna, è il dio del riso e degli affari. Questo spiega le migliaia di torii che lo caratterizzano, donati dai commercianti in cerca di fortuna per le loro attività.

Dopo aver fatto qualche foto, un po’ per la stanchezza, un po’ per il buio impressionante che circondava i torii e un po’ per il cagotto provocato dai cartelli sulle scimmie, abbiamo deciso di tornare nell’appartamento e concludere così la nostra ultima giornata a Kyoto. Anche se tornare non è stato così facile a causa degli autobus spariti nel nulla e l’impossibilità di trovare una mappa dei mezzi pubblici che fosse una. Google Maps non funzionava, perché non avevo Internet, e nella disperazione più totale ci siamo rivolti a dei poliziotti che hanno saputo indicarci un giro di linee di metropolitane che ci avrebbe portati a casa.

8 e 9 novembre 2019, giorno 6 e 7: ultimi giorni a Tokyo

Sugli ultimi due giorni del viaggio c’è poco da dire, perché li abbiamo passati a Tokyo e in quartieri in cui eravamo già stati.

Per arrivare da Kyoto a Tokyo abbiamo preso uno degli shinkansen Nozomi, i treni proiettile. I treni per Tokyo partono ogni cinque minuti e si possono prenotare direttamente in stazione. Per arrivare ci vogliono tra le due ore e dieci e le due ore e venti.

Le differenze tra gli shinkansen giappi e i nostri treni dell’alta velocità, a dirla tutta, sono minime: i posti a sedere sono enormi e il ritardo è praticamente impossibile, ma per il resto sono identici. Chilometro orario in più, chilometro orario in meno.

Prima di salire, dato che era quasi ora di pranzo, abbiamo acquistato dei bento (= scatole di cibo pronto da consumare in viaggio) e io ho preso una sòla perché il pollo fritto non mi è piaciuto.

Visita ad Arashiyama: il bento sullo shinkansen con pollo, riso in bianco e uovo sodo

Non puoi capire che sollievo arrivare a Tokyo: mi è sembrato di tornare a casa. Perché, di fatto, la gigantesca Tokyo è molto più organizzata di Kyoto.

A Tokyo abbiamo alloggiato in un hotel nuovo, l’APA Hotel Asakusa Ekimae. E’ un hotel di catena dall’arredamento elegante e le camere piccoline, che si trova a pochi metri dalla fermata Asakusa della metropolitana e dal mio amato tempio Senso-ji. Per una notte abbiamo pagato solo 67 euro che, vista la posizione, è praticamente regalato.

Mi sarebbe piaciuto tornare al Mystays Asakusabashi, ma i prezzi erano alle stelle.

Siamo tornati a farci un giro al tempio Senso-ji e, come nel viaggio precedente, ci siamo fermati a comprare del melonpan. Solo che stavolta lo abbiamo preso col ripieno di sukiyaki, follia pura!

Visita ad Arashiyama e arrivo a Tokyo: ingresso al tempio Senso-ji, Kaminarimon
Visita ad Arashiyama e arrivo a Tokyo: divinità del tempio Senso-ji
Visita ad Arashiyama: Nakamise dori
Visita ad Arashiyama, arrivo a Tokyo: il melonpan con sukiyaki

Anche per cena siamo tornati in un posto già testato: Katsuya, la catena di ristoranti specializzati in tonkatsu (cotoletta di maiale fritta, riso e zuppa di miso). Che stavolta non mi è piaciuto, perché la cotoletta sapeva troppo di olio. Ma credo abbiano cambiato gestione.

Visita ad Arashiyama e arrivo a Tokyo: il tonkatsu di Katsuya

Il giorno dopo, l’ultimo in Giappone, abbiamo lasciato le valigie in custodia all’hotel – a gratis! – e siamo andati ad Akihabara, altro quartiere già visitato.

In realtà mi ero ripromessa di sfruttare il giorno e mezzo a Tokyo per vedere posti che mi mancavano, tipo Odaiba, ma la disperazione e i chilometri macinati nei giorni precedenti mi hanno convinta a rimandare e a rilassarmi un pochino. In compenso, ho perso ore e ore per trovare un certo modellino di Gundam a mio zio, che è un grande fan.

Visita ad Arashiyama e arrivo a Tokyo: i palazzi di Akihabara
Visita ad Arashiyama e arrivo a Tokyo: i giochi in vendita da Super Potato
Siamo tornati anche da Super Potato!

Il viaggio si conclude qui, spero che ti sia piaciuto! 🙂 Lasciami un commento e fammi sapere se hai mai visitato questi posti e se hai domande. Voglio preparare un post di informazioni pratiche, quindi mi serve il tuo aiuto!

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Ciao io sono Anna

Ciao, io sono Anna!

Sono una travel blogger di Roma, sul web con Profumo di Follia dal 2012. Organizzo viaggi in piena autonomia da sempre, soprattutto nel weekend e nelle capitali europee.

Ho una passione per la Finlandia che mi ha portata a studiare la lingua finlandese per un anno e mezzo e a progettare di esplorarla in lungo e largo.

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